Scusatemi, vi abbiamo detto una bugia

Caro Federico,

di seguito quello che sono riuscito a scrivere.

I miei amici di Nisida (carcere minorile) sono Antonio (concorso in omicidio), Mariano (spaccio) e Giacomo (rapine e spaccio).

Ti dico quanto hanno commesso perché che abbiano partecipato, come hanno partecipato, alla colletta e ciò che hanno trattenuto del gesto è davvero un miracolo. Io gli sono grato.

 La colletta per me è cominciata molto presto, in uno scenario bello e paradossale qual è Nisida, quella della famosa canzone di Bennato “Nisida è un’isola e nessuno lo sa”. Nessuno lo sa perché negli anni ’50 è stata legata alla terraferma attraverso un pontile. Nisida è famosa perché ospita l’Istituto Penale per Minorenni.

Arrivo in portineria alle 8,30 per prendere tre ragazzi autorizzati a partecipare alla colletta.

L’agente mi conosce e appena mi vede tira fuori il foglio dell’autorizzazione, ma dice di aspettare perché c’è qualcosa che non va. “Impossibile che questi tre detenuti debbano uscire solo con voi, senza scorta”. Comincia un giro di telefonate fino al direttore, il quale conferma la cosa: si, escono da soli con l’architetto”.

Comincio a preoccuparmi, in realtà, seppur contento, non avevo messo in conto di doverli sorvegliare.

Ormai è fatta, i ragazzi arrivano, in qualche modo farò. Si sale in macchina, con me ci sono Antonio, Mariano e Giacomo.

La strada che dal carcere porta al supermercato è bellissima, dal mare porta alla collina di Posillipo per poi arrivare al Vomero.

Il mare si vede sempre, loro però sono distratti da altro.

Per precauzione chiudo le sicure senza che loro si accorgano.

Arriviamo al supermercato.

Appena scendiamo dalla macchina, mentre attraversiamo la strada, uno di loro mi fa: bastass na vutata d’occhio e stess a n’ata parte (basterebbe che ti giri e non mi troveresti più), poi mi guarda e dice: nuje te vulimm bene, nun te putimm fa chest! (Noi ti vogliamo bene, non ti possiamo far questo).

Si presentano al gruppo di studenti che fanno il turno di colletta con il loro professore.

Presentazioni di rito.

Indossano le pettorine.

Mentre invitano le persone a fare la spesa, noto Mariano che è un po’ triste.

Gli faccio capire che l’ho notato.

Lui mi prende in disparte e mi dice: “Sono contento di stare qui, anche perché sono tutti giovani, mi aspettavo che questa era roba per vecchi. Noi però abbiamo detto una bugia a questi giovani, abbiamo detto di essere amici di scuola, perché mi vergognavo di dire che siamo compagni di carcere, chissà come ci avrebbero guardati”.

Gli dico di non preoccuparsi.

Lui invece ferma tutti e dice: “scusatemi, vi abbiamo detto una bugia, noi non siamo studenti come voi, siamo detenuti a Nisida”.

C’è stato un abbraccio generale, semplice e bello.

Tra un sacchetto da svuotare ed un pacco da riempire si fa ora del rientro.

Ci rimettiamo in macchina.

La strada del ritorno è diversa.

Loro mi dicono che sono contenti.

Io glielo leggo negli occhi.

Anche il mio cuore è lieto.

Non smettiamo di guardare il mare.

Arriviamo alla porta del carcere, ci salutiamo.

Abbracci lunghi, occhi splendenti.

Mariano dice: anch’io allora posso fare del bene.

Si!  Inizia la colletta...quella della vita, che in fondo non è mai finita.

Davvero il protagonista non è il cibo ma la persona.

 

Felice (di fatto ma non di nome), Napoli.